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Leggi sul mobbing

Leggi sul mobbing

Il Tribunale di Torino, nel 1999 fu il primo a livello giuridico che diede al mobbing (vale a dire laggressione alla sfera psichica del lavoratore) una degna attenzione.

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La sentenza in questione riguardava una donna che a causa dei soprusi e delle inaccettabili condizioni lavorative in cui si trovava, sviluppò una crisi depressiva, compromettendo la sua vita personale e sociale. Purtroppo non esiste una sanzione a livello giuridico che sancisca il mobbing (danno ingiusto ad altra persona secondo l'ex art. 2043 c.c.). Infatti la sentenza numero 685 della Corte di Cassazione del gennaio 2011, ha stabilito che non è possibile a tutt'oggi punire il mobbing con sanzioni di tipo penale, anche se è riconosciuto il fatto dell'esistenza di comportamenti riconducibili a trattamenti di tipo vessatorio. Si può di conseguenza procedere solamente con cause civili.

Nonostante ciò, la Costituzione Italiana, rifacendosi a precise norme, e basandosi sul precetto della tutela della salute, permette di difendersi da questo tipo di reato. Per prima cosa, occorre capire se i comportamenti di mobbing derivino dal datore di lavoro stesso oppure da colleghi e soci. A seconda di questa differenziazione cambierà infatti l'iter civilistico. Se il danno arrecato proviene dal datore di lavoro, egli dovrà rispondere di violazione all'adempimento dell'accordo contrattuale (ex art. 2087 c. c) e dovrà per legge mettere in atto tutte quelle migliorie, comportamenti e atteggiamenti che servono a salvaguardare l'integrità sia fisica che psicologica del lavoratore danneggiato, in quanto persona pienamente portatrice di diritti. Il 10 marzo 2005 il Tribunale di Forlì ha stabilito inoltre che il datore di lavoro, nel caso in cui venga accusato di mobbing non direttamente dal lavoratore ma da suoi colleghi, risponderà del danno per “culpa in vigilando”. Se invece le violenze psicologiche sono effettuate da colleghi, essi, dopo avvenuta denuncia, dovranno rispondere di danno ingiusto ad altra persona (ex art. 2043 c.c.).

Il mobbing danneggia in vari modi e in diversi ambiti il lavoratore. Innanzi tutto, il soggetto ha il diritto di lavorare secondo la mansione per il quale è stato assunto. Se egli viene relegato a ruoli inferiori al suo livello professionale, o anche lasciato completamente in inattività, è riscontrato che si possa manifestare un grave danno alla professionalità. In tal caso, il lavoratore può, ( secondo ex art. 2013 c. c ), rivolgersi ad un giudice del lavoro, e dopo aver dichiarato i fatti illeciti, ottenere un decreto mediante il quale sia reintegrato nelle mansioni concordate nel contratto originario. Altro motivo illecito e giuridicamente punibile è il mobbing derivante da molestie sessuali. Tali molestie non si intendono esclusivamente esplicite, ma includono anche tutti quegli atteggiamenti che rientrano nella sminuizione sessuale della persona, nella sua offesa alla dignità, nei tentativi di seduzione non corrisposti e le cosiddette proposte sessuali in cambio di premi o promozioni, se non nel peggiore dei casi, di recessione del contratto. Proprio in virtù di tutta questa premessa, occorreranno precise informazioni per agire correttamente in caso si vogliano denunciare comportamenti di mobbing.

La prima fondamentale raccomandazione è quella di non avere fretta, perchè dato che non esiste una pena diretta per questo tipo di reato, il procedimento burocratico sarà lungo da seguire, così come il peso psicologico da sostenere. Prima di ricorrere a questa via, bisognerà quindi raccogliere tutte le informazioni sulle vessazioni che si sono subite, in modo da documentare con prove certe le accuse. Tra le varie prove dovranno inoltre rientrare tutte le sintomatologie psicologiche o fisiche insorte dopo tali modalità comportamentali persecutorie, che dovranno essere documentate tramite un certificato medico. Una volta che si ha il materiale necessario, andrà portato allo studio legale o spedito tramite una raccomandata, dopo averlo fatto protocollare.

Premesso che il termine “mobbing” può essere usato per contraddistinguere diversi comportamenti, posti in essere da uno o più persone fisiche al fine di compromettere in modo sistematico un soggetto in ambito lavorativo, la Cassazione civile sez. un. 4 maggio 2004, n. 8438 ha stabilito che le varie responsabilità siano correlate ad una violazione delle norme insite negli obblighi contrattuali, di qualsiasi natura sia il danno provocato al lavoratore, e che questi comportamenti siano considerati tipici poteri vessatori datoriali, che violano non solo i basilari principi della salvaguardia delle condizioni di lavoro, ma anche la professionalità del soggetto in questione, condizione necessarie e sufficienti perchè vengano presi dei provvedimenti a titolo risarcitorio. Non si dimentichi che oltre al danno risarcibile, il mobbing provoca anche un danno morale ed esistenziale, in seguito a un ripetuto stress psicologico. Tale condizione, anche se non costituisce reato, è altresì risarcibile secondo l'ex art. 2059 c.c.

Riguardo la compromissione in ambito lavorativo dell'immagine professionale del soggetto medesimo, il Tribunale di Agrigento, il 1 febbraio 2005 ha sancito che il danno sia possibile di tutela secondo gli art. 2, 35 e 41 cost., è inoltre risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Il problema legale

Quale può essere lo stato d’animo di chi subisce violenza psicologica e deve sottoporsi a cure sanitarie, perché un mascalzone e dei disonesti commettono abusi nei suoi confronti? La strada che alla fine sentirà più logica sarà di porre fine ad abusi e prevaricazioni, rivolgendosi alla giustizia. Ma il sistema giuridico ha tempi troppo lunghi per chi è sofferente e non sembra attrezzato per affrontare i casi di mobbing.

In una causa legale servono infatti elementi che una vittima difficilmente possiede:

  • Serve un fatto consistente e documentato - (mentre il mobbing è in genere un cumulo di piccoli soprusi dove l’uno tira l’altro e difficilmente vengono documentati).
  • Un danno dimostrabile e quantizzabile - (ma purtroppo i danni di mobbing diventano dimostrabili solo dopo l’intervento dei medici, cioè quando la salute è ormai rovinata).
  • Prove testimoniali - (ma una vittima di mobbing è tale perché si ritrova nella indifferenza ed ostilità generale, difficile che trovi testimonianze a suo favore, anzi, ne avrà contro… magari false)

Oggi, chi subisce violenza psicologica si trova in una condizione simile a chi, un tempo, subiva violenza sessuale e diventava credibile solo dietro presentazione di biancheria intima stracciata, ematomi, escoriazioni o altre conseguenze visibili. Sembra evidente che per affrontare il problema e far ottenere giustizia alla vittima, bisognerebbe procedere su basi diverse e con criteri diversi. Soprattutto si dovrebbe poter intervenire prima che i danni o le invalidità si producano e/o diventino dimostrabili.

Prevenire il problema ....

Sostenere di essere vittima di mobbing significa poter fornire elementi attendibili, superare diffidenze, fugare dubbi. Tutto questo è più facile se il problema si affronta nelle fasi iniziali: si evita che il passare del tempo renda intricata la ricostruzione e che stress, depressione o rabbia, aggrediscano il fisico e la mente di chi è vittima. All’interessato bisognerebbe quindi dare la possibilità, quando ha esaurito i tentativi personali, di aprire (presso le istanze giudiziarie o amministrative) una fase conciliativa. Non si tratta di una denuncia - ancora non esistono danni da rivendicare - semplicemente si apre una istanza formale per far presente la situazione e richiedere un piano di azione da concordare tra le parti. In questo modo, i casi di mobbing “involontario” avranno un’occasione per emergere così da consentire di attuare gli opportuni correttivi. I comportamenti di mobbing “premeditato” prenderanno atto d’essere avvisati e sotto controllo.

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